top of page

Lasciatevi stregare dalla musica. [Prima parte]

Aggiornamento: 16 mar 2019

Suit Kei è una DJ e producer romana che da alcuni anni vive e lavora a Berlino. Scopriamo insieme il talento ed i progetti di questa artista italiana!

Suit Kei

Alessandra Moroni AKA Suit Kei ha scelto di coltivare la nobile arte del DJing con una attenzione particolare agli aspetti femminili della musica e decidendo di lavorare con altre donne. Nel 2010 Alessandra fonda Witches Are Back’ collettivo che promuove e incentiva il talento femminile internazionale in tutte le sfumature dell' espressione artistica. Dal 2015 si trasferisce a Berlino, indiscussa capitale mondiale della musica elettronica dove vive e lavora come DJ, producer ed organizzatrice di eventi. 1) Alessandra come nasce la tua passione per l’elettronica? La mia passione per l’elettronica posso dire sia nata da piccolissima, nei primi anni ‘80, quando mio padre mi faceva ascoltare tutti gli album dei Pink Floyd e mi spiegava cosa erano e come funzionavano i sintetizzatori. Da bambina sono stata sempre enormemente affascinata dalla musica e dal principale strumento di lavoro di mio padre, il mixer. Lui era un fonico affermato, e lavorava anche da Davoli, un allora noto negozio di strumenti musicali a Roma. Grazie a lui ho sempre avuto intorno molta musica, e una volta cresciuta ho scelto che avrebbe dato un senso alla mia vita. Ho iniziato a 'suonicchiare' qualche strumento e a far parte di qualche giovane band. Successivamente, verso la metà degli anni ‘90, mi sono interessata al DJing, e nei primi del 2000 iniziando a mettere le mani sulla consolle. In realtà per caso, grazie ad un amico, Diego Dionisio, DJ degli storici Uonna Club, Krypta e Jungle Club, che mi ha spinto a provare nel 2001. Da allora la mia vita non è stata più la stessa, ho comprato la mia prima rudimentale consolle (un economico mixer Gemini e una terribile coppia di piatti a trazione finto-pseudo-diretta BST) e la miscelazione di vinili è poi diventata la mia ossessione, seguita poi dalla produzione, con un software al tempo molto utilizzato, il Fruity Loops, con il quale si poteva creare la propria musica avendo a disposizione solo un computer, casse e cuffie di buona qualità. Solo in seguito però ho potuto permettermi di acquistare hardware analogici e digitale professionale.


2) Hai sempre lavorato con la musica? (Di cosa ti occupavi prima?)

La musica mi ha procurato in effetti il mio primo vero lavoro, quando nel 2001 ho iniziato a lavorare come DJ resident della allora nota catena di locali “Transilvania”, dove ho selezionato musica per 2 - 3 serate a settimana. Era molto divertente, la “conduzione” della serata era interattiva col pubblico ed in stile diciamo anche “radiofonico”, selezionavo tracce appartenenti a vari generi musicali a seconda del giorno della settimana, sempre nel campo rock (punk, metal, gothic ..). Solo la domenica avevo a disposizione una serata per la musica elettronica. Al contempo lavoravo come barista al Jungle Club il venerdì, dove ho fatto anche qualcuno dei miei primi DJ set. Ho fatto anche altri tipi di “lavoretti” all’interno dei locali, dalla promozione al guardaroba. Poi ho mollato tutto, per condurre qualche anno di vita semi nomade seguendo i Free Party in giro per l’Italia e l’Europa.

Al mio ritorno a Roma, la creazione del progetto Drastic Beat, motivo per cui fondamentalmente sono oggi conosciuta in Italia, che mi ha fornito tramite l’organizzazione di grandi eventi e DJ set il sostentamento necessario, fino al 2009/2010, periodo nel quale in Italia è arrivata la crisi nera, e le attività culturali hanno iniziato a risentirne tantissimo, perché si sa, se la gente fa fatica ad arrivare alla fine del mese, la prima cosa su cui risparmia è la cultura e il divertimento. A quel punto, pur continuando a mandare avanti Drastic Beat, e collaborando anche alla realizzazione di altri eventi e festival con varie mansioni gestionali, mi sono trovata un impiego non attinente al campo musicale, ma comunque di mio interesse, e per circa 4 anni ho lavorato nel sociale, per una cooperativa che si occupava della gestione di strutture per rifugiati politici, richiedenti asilo, minori stranieri non accompagnati. Le contraddizioni emerse e i lati oscuri di quella che oggi definisco “l’industria dell’accoglienza”, unitamente al fatto che mi sentivo totalmente spersonalizzata, e trovandomi nella triste circostanza di poter dare alla musica sempre meno tempo nella mia vita, o di farlo al costo di non dormire mai, mi hanno condotto a decidere di mollare il famoso contratto a tempo indeterminato e trasferirmi in Germania, dove avevo già iniziato l’anno prima ad avere alcuni DJ-gigs. Qui, superato il roseo periodo iniziale, ho ricominciato quasi da zero, dovendo inserirmi nuovamente in una scena. Chi lo ha già fatto, sa che purtroppo a volte ci si ritrova ad essere trattati come “newcomers” da gente con neanche un quarto della propria esperienza nell’ambito della realizzazione di eventi, e dal punto di vista performativo, si viene messi a volte in secondo piano rispetto a persone che hanno da poco iniziato un percorso nella musica, o ne hanno avuto uno poco consistente, ma che hanno più amicizie e conoscenze in quella scena. Non mi sono arresa, ho affrontato a testa alta molte situazioni approssimative e frustranti, e i frutti sono, piano piano, arrivati.

3) Come hai scelto il tuo nome d’arte Suit Kei ? Non posso davvero dire di averlo scelto, avevo agli albori un altro nome d’arte, sostituito poi da questo nickname, nato dalla contrazione e traslitterazione criptata di un divertente soprannome canzonatorio affibbiatomi da alcuni amici, di cui non saprete mai il vero significato! Alla fine ho scelto di tenerlo perché già molte persone mi identificavano con quel nome e aveva un suono piacevole, apparentemente di ispirazione asiatica, inoltre non poteva esistere nessun altro al mondo che lo utilizzava. La unica e sola Suit Kei al mondo potevo essere solo io! 4) Sei DJ e Producer. Vuoi spiegare al nostro pubblico le differenze tra queste due figure? Spero che la differenza sia ormai nota ai più. Un DJ in senso tradizionale è una persona che tramite la selezione accurata di tracce musicali e la loro sapiente miscelazione attraverso i canali e gli equalizzatori del mixer, riesce a ricreare un suo personale suono, una sua peculiare atmosfera, a trasmettere emozioni secondo un flusso. Per farlo bisogna(va) avere la padronanza dei giradischi, e riuscire a sincronizzare le due tracce avendo a disposizione un Pitch (un fader, cioè una levetta scorrevole presente sul giradischi, in grado di cambiare velocità - e al contempo tonalità - a un disco). L’odierna degenerazione della figura del DJ, che ha procurato a molti professionisti anche inappropriate mancanze di rispetto da parte di alcune fette di pubblico diventate ormai profondamente ignorati, deriva dall’avvento della tecnologia dei ‘’controller’’per DJ, che tramite sistemi digitali di sincronizzazione delle tracce (funzione “Sync”, presente anche nei CDJ) e molte altre funzioni, permette anche a chi non ha le skills tecniche, di presentarsi come DJ. Io non riesco molto ad accettare che quello che prima era una rispettabile abilità tecnica e artistica è diventata ‘’una specie di video-game’’ accessibile a chiunque. I piatti sono anche uno strumento ed è come se i chitarristi delle band fossero stati sostituiti dalla chitarra automatica che si suona da sola. Sono anche molto contraria all’utilizzo della parola DJ in questi contesti inappropriati. DJ è l’acronimo delle parole Disc e Jockey, il che sta ad indicare qualcuno in grado di maneggiare dei dischi, e si riferisce specificatamente alla pratica del vinile. Vedendo la questione dal punto di vista anche solo della correttezza semantica, chi, affacciandosi al mondo della musica elettronica, propone set realizzati esclusivamente attraverso un software e/o controller “push ‘n play” impropriamente usati (il che significa spesso anche una totale mancanza di knowledge relativa alla gestione del mixer) non è un DJ. Queste persone dovrebbero forse chiamarsi con un altro nome. Nonostante ciò, ci sono molte persone che amo e rispetto che usano questi controller, ma c’è una grossa differenza (anche musicale!) se a farlo è una persona che sta da una vita in una scena, ha un considerevole bagaglio di esperienze, ed ha magari scelto di passare al digitale per praticità, facendone un uso competente, o se a farlo è un ragazzino che si avvicina alla musica con il solo scopo di “diventare famoso” o “fare la vita da DJ”. Il Producer invece, nel mondo della dance music, è una persona che crea le sue proprie tracce, allo scopo di farle suonare ai DJ e di farle ascoltare a un pubblico più ampio attraverso le radio (o altri canali di diffusione odierni come spotify, soundcloud, etc) e la vendita dei propri dischi e/o tracce. Per fare ciò sono richieste molte elevate competenze, come la conoscenza della teoria musicale, la conoscenza del processo di sintesi del suono, la conoscenza delle tecniche di analisi e sintesi del segnale audio, e un minimo di manualità strumentale per poter mettere in pratica le proprie idee sulla tastiera. La tecnologia offre oggi anche da questo punto di vista molte soluzioni semplificative del processo, così come anche soluzioni “for dummies”. Ma nel campo della produzione, per un orecchio esperto, la differenza tra chi ha vere skills musicali e chi accrocca sample packs e loops fatti da qualcun altro seguendo la moda del momento è lampante. [Continua... QUI] ]


[Fine prima parte]

댓글


WOMAAPP I WE ARE!
Beta Version

Scrivici per informazioni, suggerimenti e consigli, segnalaci attività al femminile,  news e link di siti che reputi interessanti, pagine di pubblica utilità, servizi, strutture, eventi dedicati alle donne. 

Unisciti a noi!

 

 Seguici, Amaci, Supportaci!

Cliccando su “invia” accetti che i tuoi dati siano registrati con l’unico scopo di invio del messaggio - Leggi l'informativa completa.

GRAZIE! Il tuo messaggio è stato inviato.

Collabora con noi

© All rights reserved  2019 by WomaApp. Blog  |  Terms of Use  |  Privacy Policy

bottom of page